LA FIAMMANTE, POMODORI DA GALANTUOMINI

Dove nasce il Pomodoro La Fiammante? Tante volte abbiamo risposto a questa domanda negli ultimi mesi, complice l’allarme diffuso ad arte sull’antica filiera del pomodoro al Sud, che vanta oltre un secolo di storia e di eccellenze. Un tempo lunghissimo di esperienze sedimentate e di slanci sempre nuovi, di errori isolati e giustamente puniti, ma anche di esempi virtuosi troppo spesso ignorati. Una storia che rappresenta, oggi più che mai, un indiscutibile patrimonio per il futuro di questo Paese. Una storia che è importante conoscere per saper scegliere. 

POMODORI MADE IN PUGLIA, COMPETENZA CAMPANA.

Oggi, in Italia, su 42 milioni di quintali di pomodori (produzione 2013), ben 23 milioni sono prodotti nel Centro-Sud e, di questi, più dell’80% è Made in Puglia. ICAB SPA – La Fiammante lavora ogni anno 500.000 quintali di pomodoro, di cui oltre il 95% di provenienza pugliese (il resto è coltivato a nord di Capua, al confine con il Parco del Matese, e nell’area di Battipaglia in Campania). La straordinaria fragranza del Pomodoro La Fiammante nasce dall’amore per la terra e dalla competenza nel gestire tutta la filiera, un saper fare che preserva l’alta qualità delle migliori materie prime italiane e promuove il progresso del lavoro agricolo in ogni fase di attività (dalla Lotta Integrata per evitare l’uso di pesticidi, alla Raccolta Meccanica contro lo sfruttamento della manodopera). Una filiera produttiva antica che tuteliamo, ogni giorno, con responsabilità e impegno.

CAMPANIA, LA PATRIA DELL’INDUSTRIA CONSERVIERA

La Campania è da oltre un secolo - dall’idea del piemontese Francesco Cirio che alla fine dell’Ottocento aprì la prima azienda a Castellammare di Stabia (NA) - la patria dell’industria che conserva e trasforma pomodori pelati, passata di pomodoro e Concentrato. La decisione di spostare lo stabilimento da Torino alla provincia di Napoli, era legata al fatto che fino agli anni ’80 del secolo scorso, più del 25% del Pomodoro Italiano era prodotto proprio in Campania. Poi si manifestò una virosi (malattia) delle piante e, in pochi anni, tutto cambiò.

LA PRODUZIONE DEI POMODORI: DALLA CAMPANIA ALLA CAPITANATA

Alla fine del secolo scorso, per l’espansione del mercato e per ragioni agronomiche, di disponibilità di terra e di acqua, la produzione del pomodoro si spostò infatti dalla Campania alla Capitanata (o Puglia Piana), l’attuale provincia di Foggia, dove le industrie conserviere avviarono inizialmente rapporti diretti con gli agricoltori. Dopo qualche anno, però, la produzione pugliese esplose, e nuove figure di mediazione s’interposero per la risoluzione imparziale di controversie organizzative tra parte agricola e parte industriale, con reciproco vantaggio. Mentre la Normativa Europea e i contributi comunitari cambiavano il volto dell’Agroalimentare Italiano (con non rari episodi di truffe e raggiri) e nascevano le prime Associazioni di Produttori Ortofrutticoli (dette prima A.P.O., poi O.P.) a tutela dei diritti e della dignità del lavoro agricolo, l’aumento delle aziende produttive, della produzione di pomodori, delle aziende di trasformazione consolidò il ruolo chiave dei mediatori (riuniti in Cooperative) nonché i loro interessi, gettando il Settore nel caos.

RAPPORTO DIRETTO CON GLI AGRICOLTORI: IMPEGNO E RESPONSABILITÀ.

Fino ad oggi. Fino alla coraggiosa decisione di invertire la rotta da parte di ICAB SPA – La Fiammante, e del suo titolare Francesco Franzese, che decide di siglare un Accordo Interprofessionale “all’antica” con gli agricoltori, un accordo “da galantuomini” (come sostiene Confagricoltura) sulla programmazione, sulle superfici, sul calendario delle consegne, sulla qualità del prodotto, sui prezzi e sulle modalità di pagamento, perché nulla sia lasciato al caso o alle cattive intenzioni. Non a caso, intervistato ieri dal Corriere del Mezzogiorno – Economia, sulla sterile questione riguardante la sede del Distretto Centro-Sud del pomodoro (in Puglia, in Campania o a Roma), Francesco Franzese chiarisce:  «Il distretto come sistema di aggregazione è destinato al fallimento economico. Anche al Nord non funziona, e quelli che lo sostengono perseguono interessi di parte. Perché con questo strumento si cerca di penalizzare la parte agricola, tentando di imporre i prezzi del pomodoro. Mentre oggi le aziende devono poter trattare liberamente in base alle proprie capacità. Insomma la meritocrazia va salvaguardata, mentre con il distretto i rapporti di forza sarebbero ingessati. […] La querelle sulla sede a Foggia, ad Angri o a Napoli non mi appassiona per niente.» (cfr. Corriere del Mezzogiorno - Economia, 31 marzo 2014)